Fragili, in un mondo fragile
Questo il titolo della mostra in cui mi sono imbattuta per caso – e non a caso – durante un viaggio a Nantes.
Un’esposizione che è stata un’esperienza all’interno della fragilità, sia umana che ambientale, in un mondo in profondo cambiamento.
Un percorso tra opere d’arte, dati scientifici, impegni e testimonianze, che mi ha mosso e commosso.
COS’E’ LA FRAGILITÀ?
La fragilità, per definizione, è legata a concetti come debolezza, vulnerabilità, instabilità e perdita. Si manifesta come una rottura, sia negli oggetti sia negli esseri viventi, provocata da eventi naturali, accidentali o dall’interazione con l’ambiente circostante. Spesso si presenta in modo improvviso e imprevedibile. È una condizione intrinseca all’essere umano.Uno dei grandi paradossi della vita è che per esistere occorre prima separarsi: dalla madre alla nascita, e infine dalla vita con la morte. Per sopravvivere, l’uomo deve costantemente adattarsi, lasciandosi modellare dalle trasformazioni dell’ambiente. La nostra esistenza è segnata da un limite: siamo esseri finiti.
Sin dai tempi antichi, i pensatori occidentali hanno cercato di rappresentare questa condizione umana — sospesa tra miseria e grandezza — attraverso metafore, elaborando diverse strategie per affrontarla e comprenderla.
Paul Ricoeur (1913-2005) contrappone la fragilità umana all’esaltazione contemporanea del potere: la fragilità del corpo, la fragilità emotiva della persona in divenire. Si preoccupa della fragilità dell’umano nell’uomo e della fragilità delle istituzioni umane. Tutte queste vulnerabilità richiedono una solidarietà e una responsabilità collettiva.
LA FRAGILITÀ DEL PIANETA: UN PUNTO DI NON RITORNO
Negli ultimi due secoli, la rivoluzione industriale e l’espansione demografica hanno compromesso gravemente gli equilibri del pianeta, causando l’esaurimento delle risorse, l’inquinamento diffuso e il cambiamento climatico, aggravati dalla rapida perdita di biodiversità e dal conseguente rischio per gli ecosistemi essenziali alla nostra sopravvivenza.
In un mondo in cui ogni forma di vita è interconnessa, la fragilità degli equilibri naturali diventa la nostra stessa fragilità. Sempre più ecosistemi vitali sono oggi a rischio di collasso, minacciando non solo l’ambiente ma anche la stabilità economica, sociale e politica delle società umane. Questa consapevolezza ci pone di fronte a una responsabilità collettiva: quella di riconoscere l’impatto delle nostre azioni e affrontare un momento storico che molti esperti definiscono già come un punto di rottura.
A condurre verso questa crisi è stato anche un uso distorto della tecnologia, spesso impiegata al servizio del profitto anziché del benessere comune. In questo contesto, la tecnica, anziché emancipare l’individuo, tende a ridurlo a ingranaggio di un sistema che indebolisce le relazioni, le comunità e la dignità umana. Questa forma di violenza verso la Terra è strettamente legata a quella che l’umanità ha sempre esercitato su sé stessa: guerre, disuguaglianze, sfruttamento, esclusione.
Nel panorama contemporaneo, segnato da tensioni e incertezze, cresce la consapevolezza della nostra fragilità. Le crisi ambientali si intrecciano a quelle sociali ed esistenziali, rivelando quanto il nostro modello di sviluppo sia fragile e insostenibile. Stiamo imparando che inseguire un’idea di progresso illimitato comporta costi altissimi: un ciclo di distruzione altrettanto senza limiti.
Riconoscere questa realtà è il primo passo per immaginare un nuovo paradigma. La sfida ora è trasformare questa fragilità in consapevolezza, e la consapevolezza in azione.
Se possiamo vedere l’impatto delle nostre azioni, possiamo comprenderle e cambiarle.
LA FRAGILITA’ COME TRAMPOLINO VERSO L’ALTRO
La consapevolezza della crisi globale che stiamo vivendo ci ha costretto a rivedere molte certezze su cui si è costruito il pensiero moderno, soprattutto in Occidente. Ideali come l’autosufficienza, l’indipendenza e l’individualismo, che per decenni sono stati considerati pilastri dell’identità personale e collettiva, oggi rivelano la loro natura illusoria. L’essere umano non è mai stato – e non potrà mai essere – completamente autonomo: la nostra esistenza è profondamente intrecciata con quella degli altri, delle società in cui viviamo, degli ecosistemi che ci sostengono.
E così, se la fragilità come condizione umana dà una visione tragica e cupa del disagio umano, allo stesso tempo sottolinea la necessità dell’apertura e dei legami che sono alla base della società e della comunità: nessun essere vivente, e più in particolare nessun essere umano, è autosufficiente. La realtà e l’urgenza delle relazioni sono al centro della nostra vita. “Così, molti segnali attestano che la consapevolezza dell’interdipendenza globale e reciproca si sta sviluppando quasi ovunque nel mondo. È presente, in varie forme e con diversi gradi di intensità, in un numero sempre maggiore di uomini e donne, e nessun ambiente sociale può esserne totalmente privo. Da questo punto di vista, il ritorno all’umanità non è un sogno, ma sempre più una realtà” (Serge Paugam, L’attachement social. Formes et fondements de la solidarité humaine).
Come suggerisce Leonard Cohen: “C’è una crepa in ogni cosa, è da lì che entra la luce”. La fragilità può dunque essere il varco attraverso cui riscopriamo la possibilità del cambiamento, dell’incontro, della trasformazione. Ma per farlo, dobbiamo accettare di uscire dal guscio sicuro della nostra identità, permetterci di essere toccati da ciò che è altro da noi, ascoltare la chiamata del mondo che ci chiede di entrare in relazione.
Assumere il rischio dell’alterità significa riconoscere che la nostra identità si costruisce proprio nel confronto con l’altro. L’incontro autentico, quello che ci cambia, richiede disponibilità a lasciarsi trasformare. Solo se ci lasciamo commuovere da ciò che riceviamo, possiamo davvero entrare in relazione.
La fragilità ci accompagna in ogni dimensione della nostra esistenza: nel corpo, nelle emozioni, nella mente, nello spirito. Accoglierla non significa arrendersi, ma aprirsi a nuove possibilità. Significa imparare a riconoscere i nostri limiti, ma anche a trasformarli in risorse, attraverso il contatto, la cura, la solidarietà. In questo processo, la fragilità non è più un ostacolo, ma diventa il punto di partenza per una vita più piena, condivisa e consapevole.
ABBIAMO SPERANZA?
Siamo ancora in tempo per evitare altri disastri climatici e civili? Possiamo guardare al futuro senza disperare?
La speranza non può esistere senza azione: è un atto di fiducia che richiede impegno concreto. Ogni uomo che ha camminato dentro sé stesso, benevolo verso il mondo e ciò che lo abita, pervaso da un’energia di resistenza e di trasformazione, è anche abitato dalla speranza ed è portatore di speranza.
Il futuro del pianeta e la dignità della vita si fondano sull’equilibrio tra responsabilità individuale e azione collettiva, in una rete di legami e solidarietà.
Riconoscere l’importanza delle relazioni e delle interdipendenze è oggi fondamentale per ricostruire un tessuto sociale frammentato.
Possiamo assumerci pienamente i limiti della nostra umanità senza cercare di liberarcene; e presentare agli altri la verità che libera, consentendo a ciascuno di percorrere la propria strada verso la sua liberazione.